STORIA DI UNA PASSIONE
Milano, Palazzo Reale
21 settembre 2011 – 29 gennaio 2012
Palazzo Reale a Milano è la cornice della grande mostra monografica, curata da Roberto Contini e Francesco Solinas, che illustra la vicenda umana e professionale di una delle donne piú famose nella storia dell’arte italiana, secondo Longhi “l’unica donna che in Italia abbia mai saputo che cosa sia pittura e colore, e impasto, e simili essenzialità”: Artemisia Gentileschi, celebre figlia del pittore caravaggesco Orazio Gentileschi. La prima monografica a lei dedicata venne organizzata nel 1947, quando Anna Banti definí e circoscrisse i rapporti tra il suo linguaggio pittorico e quello del padre, e da quel momento la sua personalità è stata trattata in diverse rassegne dedicate al rapporto con il padre Orazio e alcaravaggismo. Della mostra milanese colpisce innanzitutto l’allestimento, voluto da Emma Dante,
che introduce il visitatore alle vicende umane della pittrice, con una prima sala che vuole rievocare il dramma del processo per stupro che la vide protagonista insieme al colpevole, Agostino Tassi, suo maestro e amico di Orazio, nel 1612. Al centro, un letto macchiato da tracce di sangue; pendono dal soffitto gli atti del processo di cui la voce di Emma Dante propone l’ascolto. Alle prime prove dell’artista è dedicata la prima sala dell’esposizione, ove sono esposte le due versioni della Madonna con bambino, tema molto frequentato da Artemisia, ove si distinguono chiaramente i debiti stilistici verso il padre. Altri esempi dei temi prediletti dall’artista sono le donne suonatrici di liuto e le Giuditte, sulle quali molto si è scritto, nei termini di una identificazione tra l’artista e l’eroina biblica che si scontra con l’elemento maschile. A parte queste letture psicologiche dell’opera dell’artista, i dati stilistici testimoniano un’attenzione verso il chiaroscuro caravaggesco e la tradizione toscana. Nel 1616 l’artista venne accolta all’Accademia del disegno, grazie all’intervento del granduca Cosimo II de’ Medici, grande promotore delle iniziative di quest’istituto fondato nel 1563. Artemisia portò a Firenze le novità del caravaggismo ma si lasciò affascinare anche dalla maniera toscana e dal gusto fiorentino, che informeranno il suo vocabolario stilistico nel corso della sua carriera. Nella seconda sala di altissima qualità sono Ester al cospetto Assuero, realizzata a Napoli tra il 1622 e il 1623; la scena è intrisa di tensione drammaticae di teatralità quasi spinta all’eccesso. La terza sala è dedicata ad approfondire il tema del ritratto, ed è allestita con numerosi specchi; l’uso dello specchio da parte dell’artista nella realizzazione di un suo autoritratto ricorda la relazione tra Caravaggio e lo specchio come elemento fondante della creazione artistica, che gli consentiva di registrare otticamente un’immagine e renderla sullo spazio, limitato e confinato, di una tela. Ma pare che Artemisia giunga all’acme della sua produzione con le opere realizzate sul 1630, molte delle quali sono presenti nella quarta sala dell’esposizione, tra le quali si segnala La ninfa Corisca e un satiro, in cui la ricchezza della superficie cromatica e la qualità nella definizione dei tessuti, nonché l’abilità nell’orchestrazione compositiva, che lascia rievocare la fuggevolezza di un attimo, sono segni chiari di una maturazione ormai giunta a completamento. Merita una segnalazione anche la bella Natività di San Giovanni Battista, realizzata per Filippo IV di Spagna, ove si apprezza la caratterizzazione mediterranea delle tipologie femminili. La maturità stilistica di Artemisia si traduce in uno svolgimento barocco del suo stile, nella resa più monumentale delle figure, nel vigore; questo suo momento è esemplificato da Giuditta e la fantesca, del 1625, che proviene dal Detroit Institute of Arts, e che mostra una plasticità e una definizione delle forme che hanno trovato una loro compiuta espressione al lume di una candela, espediente luministico di indimenticabile effetto, che scivola sui panneggi e li plasma. Quest’opera è collocata nell’ultima sala, dedicata alla produzione tarda e alla bottega di Artemisia. Il fascino che Artemisia e le sue opere esercitarono sul pittore napoletano Bernardo Cavallino traspaiono in opere come il Trionfo di Galatea, ove si è voluto riconoscere l’intervento della pittrice nella figura femminile, che rispetta la tipologia da lei preferita, mentre i tritoni sarebbero da ascrivere a Bernardo Cavallino. La mostra chiude il suo percorso su una Artemisia ormai stanca, coadiuvata dagli aiuti e dai garzoni di bottega, che ha perduto la vena creativa degli anni giovanili, regalandoci un ritratto di spessore di questa donna, la cui vicenda umana è tanto ricca e intensa quanto quella artistica.
artico tratto da mostreinmostra.it