Parigi, Musée d’Orsay
Parigi, Musée d’Orsay
13 settembre 2011 – 15 gennaio 2012
Lame di sole caldo e radente su di un cielo spesso e violaceo giocano con la superficie increspata dell’acqua. Le chiome degli alberi delle Touileries, accese d’oro e d’arancio si agitano scarmigliate dal vento lungo gli argini della Senna, a pochi passi dal Musée d’Orsay, dove sono diretta. L’autunno parigino, con la sua decadente bellezza, è il perfetto preludio alla mostra che sto per visitare, i suoi colori così simili alle tinte ardenti proprie dei dipinti inglesi del XIX secolo.
La sensualità, il piacere visivo e tattile, l’incanto della bellezza fine a sé stessa solleticano il visitatore già dalla prima sala, dove una scultura a grandezza naturale di un atleta, completamente nudo, inarca la schiena e tende le braccia al cielo nell’atto di stirarsi, calpestando incurante la sua corona di foglie caduta a terra e lasciandosi ammirare dallo spettatore così come dall’artista che lo ha ritratto. È la bellezza pura, in sé e per sé, infusa di voluttà e beatitudine, ad interessare i contemporanei di Oscar Wilde, citato nel titolo di questa mostra in quanto promotore di un nuovo stile di vita nonché di una nuova corrente artistica e letteraria in netto contrasto con la decadenza e la severa morale vittoriane. Una bellezza che doveva infiltrarsi in ogni ambito del vivere quotidiano, avvolgendo e compiacendo le persone non solo attraverso le opere d’arte, i quadri e le sculture, ma anche con l’aiuto di oggetti di uso comune, mobili e persino carte da parati, reinterpretati nel nome dell’estetica fine a se stessa. Le modelle scelte dagli artisti esteti quali Dante Gabriel Rossetti, Frederick Sandys e J.W. Waterhouse sono donne dalla sensualità impetuosa, dalla pelle candida e morbida, ritratte spesso con le labbra tumide e vermiglie socchiuse in un’espressione di ingenuo stupore, i grandi occhi fissi sul visitatore e i lunghi capelli ramati sciolti sulle spalle, liberati dalle costrittive pettinature vittoriane. Nella terza sala mi sorprendo intenta ad avvolgere una ciocca di capelli intorno al dito indice, mentre osservo intrigata il ritratto di Maisie, viso imbronciato e ricciolo di capelli tra le labbra, sguardo rivolto altrove e forte carica erotica. Ancora più coinvolgente, nel suo abbandono totale al godimento di una melodia suonata da due angeli, Santa Cecilia ritratta da J.W. Waterhouse con i lunghissimi capelli sciolti lungo la schiena e le labbra scarlatte, chiude gli occhi e sfiora con le dita intrecciate i petali di una rosa purpurea, baciata da una calda luce vespertina. Ognuno di questi artisti vive la bellezza in modo diverso, alcuni come pura fonte di armonia delle arti, altri in modo quasi carnale, intrattenendo un rapporto intenso con le modelle, come faceva Dante Gabriel Rossetti, i cui ritratti sono di una sensualità vigorosa, fiammeggiante. Gli stessi titoli delle sue opere giocano con la passione, come nel caso di “Bocca baciata”. Un’intera sezione della mostra è dedicata al design di interni, con pezzi d’arredamento quali panche e poltrone ispirate ai fregi di Pompei, cassettiere dalla linea grezza ma decorate a motivi medievali, o ancora cristalliere in stile giapponese, cancelli in ferro battuto come grovigli di vegetazione e niente di meno che i lussureggianti arazzi di William Morris di ispirazione gotica e naturalistica. Gli esteti conterranei di Oscar Wilde si lasciano sedurre dalle influenze artistiche del Sol Levante, ne adottano lo stile decorativo e i colori, e molti di essi saranno assidui collezionisti di oggetti provenienti dal Giappone e dalla Cina, come ventagli, vasi in ceramica e stoffe pregiate. L’ultimissima sala è consacrata al declino del movimento estetico inglese, causato in parte dalla critica spietata ad esso indirizzata, che diffonde un ritratto caricaturale dell’esteta, capellone, amante degli abiti in velluto, dei ventagli cinesi, dei pavoni e dei gigli bianchi, e che tiene in considerazione solo le sue opere più decadenti e volgari, come i pittoreschi libercoli nutriti ed illustrati di satira erotica, qui esposti in chiusura della mostra.